Torino, Via Digione 3

Via Digione  
3, 
Torino, 
Torino

Storia del Bene

Dalle dichiarazioni raccolte dagli inquirenti, emerse una moltitudine d’indizi che collocavano L.D. a capo di un’associazione criminale, operante in Torino e provincia, ma anche in altre regioni italiane, fin dal 1986, volta all’accumulazione di profitti illeciti attraverso la pratica dell’usura e dell’estorsione, il commercio di stupefacenti, il sequestro di persona a scopo di estorsione e il commercio illegale di armi ed esplosivi.

Le dichiarazioni rilasciate da un collaboratore di giustizia, portarono a scoprire l’inserimento dei fratelli D. nel commercio illecito di stupefacenti. Fin dagli anni ’80, il fratello di L.D. utilizzava l’abitazione del collaboratore di giustizia, a sua insaputa, per il deposito di enormi quantitativi di stupefacenti. Il ritrovamento di questo deposito causò l’arresto del collaboratore, che fu costretto dai fratelli D. ad assumersi la completa responsabilità del possesso di stupefacenti. Secondo le dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, alla morte del fratello, L. D. prese in mano il controllo del commercio di stupefacenti. Uno dei collaboratori di giustizia divenne suo compare, insieme ad altri individui, aiutandolo nel trasporto degli stupefacenti dalla Calabria a Torino. In uno di questi viaggi verso Locri, il collaboratore ricevette la droga nel negozio di gomme di L. D. e vide, inoltre, molte armi nascoste in un terreno, anche questo appartenente al proposto.

Nel 1987, in occasione di un controllo casuale presso un’area di servizio sull’autostrada nei pressi di Bressanone, il proposto insieme ad un’altra persona, fu arrestato per il rinvenimento di 100 gr d’eroina nell’auto. La persona che lo accompagnava si assunse la totale responsabilità della detenzione, dicendo di averla trasportata all’insaputa del D.
Dalla perquisizione effettuata nel 1993 dai Carabinieri nel negozio di pneumatici gestito da un “uomo di fiducia” di L. D., furono ritrovate diverse armi, oltre a numerose cambiali e assegni, alcuni dei quali certamente riconducibili alle attività illecite del proposto. Queste numerose dichiarazioni consentirono di raggruppare svariati indizi riguardo al ruolo svolto personalmente da L. D. nel commercio di stupefacenti, almeno fin dalla morte del fratello avvenuta nel 1986. Inizialmente prese contatto con vecchi fornitori e clienti del fratello e successivamente gestì direttamente i rapporti con famiglie sue corregionali ugualmente inserite nel traffico di stupefacenti e il trasporto dalla Calabria a Torino.

Altre dichiarazioni di collaboranti, identificano L. D. quale personaggio che fin dai primi anni ’90 era dedito alla commissione di estorsioni sul territorio torinese. Svolgendo l’attività di recupero crediti maturati da altri individui, il proposto prendeva contatto con il debitore esercitando su di lui una forte pressione, anche tramite l’uso della violenza, per invitarlo ad estinguere il debito. Attraverso questa attività illecita, il D. ricava elevati profitti, derivanti dal ricevimento di provvigioni calcolate sull’importo del credito.

Il riscontro positivo delle molteplici dichiarazioni raccolte, permisero di indicare L. D. come individuo facente parte di un’associazione riconducibile al modello di cui all’art, 416 bis c.p., operante a Torino e provincia, ma costituitasi precedentemente in Calabria.

Un’altra vicenda rilevante ai fini della determinazione della pericolosità sociale del proposto, ebbe origine nel 1991, quando un individuo, diventato poi collaboratore di giustizia, chiese la somma di 60 milioni di lire ad un’altra persona, come risarcimento di uno sgarro che gli era stato fatto in occasione di un affare comune.
Questa persona disse di non avere a sua disposizione la somma di denaro, così si accordò con il futuro collaboratore di giustizia e con L. D., intervenuto a sua difesa avendo affari illeciti comuni, offrendogli assegni che si fece rilasciare dai suoi debitori.

Dopo questo avvenimento, il futuro collaboratore subì un tentato omicidio da parte di affiliati al clan B. e successivamente, fu convocato da S. B. in persona. Durante il colloquio, S. B. gli disse che gli assegni a lui consegnati dovevano essere restituiti in quanto la persona che glieli aveva dati era legata a lui. Il futuro collaboratore rispose che questo non poteva avvenire perché gli assegni erano in mano a L. D. S. B. volle incontrare anche il D., a cui offrì durante il colloquio, di finanziare personalmente 30 milioni di lire del debito che “il suo uomo” aveva contratto.

Il D. rifiutò dicendo che per soddisfazione personale voleva porre all’incasso, almeno uno degli assegni ricevuti e il colloquio terminò in modo pacifico. In seguito S. B. dimostrò di non tollerare nemmeno l’incasso di un solo assegno da parte del D., soprattutto dopo aver scoperto che il proposto aveva fatto un viaggio in Calabria, per cercare alleanze che si contrapponessero a B. Questa vicenda, dimostrò di avere caratteristiche che vanno oltre al semplice conflitto tra persone “divise da un rapporto di credito-debito”.

L. D., intervenuto in difesa del futuro collaboratore, entrò in contatto diretto con S. B., all’epoca facente capo alla più potente associazione a carattere mafioso operante sul territorio di Torino e provincia, intervenuto a favore del Ponzo.
Anche se L. D. ingannò B. ponendo all’incasso il primo assegno e cercando protezioni in Calabria, l’accordo raggiunto fra i due rimase stabile.

In questa vicenda, quindi, il proposto si mosse “tra Torino e la Calabria con l’atteggiamento tipico della persona che è consapevole di far parte di un’organizzazione mafiosa. In Calabria si adopera per cercare protezione, mentre sul territorio torinese cerca di sfidare l’organizzazione mafiosa dominante”.

Se a questo avvenimento si aggiunge la moltitudine di reati commessi dal proposto, si arriva alla conclusione che sono presenti indizi gravi e concordanti sull’esistenza di un’associazione attiva in Calabria, ma con un nucleo operante in Torino di cui L. D. è il capo. Quest’associazione a forte impronta familiare, opera attraverso il metodo mafioso e si rapporta con altre associazioni aventi lo stesso carattere criminale.

Con decreto emesso dal Tribunale di Torino nel 1996 fu disposto il sequestro del bene, il quale verrà confiscato nel 1997, in quanto dimostra la cospicua ricchezza nella disponibilità della famiglia D. e di conseguenza nella disponibilità diretta o indiretta del proposto. Il Tribunale di Torino dispose la confisca definitiva nel 2001.

Tipologia e descrizione

Ex portineria di 15 mq.

Riutilizzo

Il bene è stato destinato al comune di Torino nel 2006 e consegnato nello stesso anno. Nel mese di maggio 2011 sono terminati i lavori di ristrutturazione e di messa a norma degli impianti. Il Comune di Torino ha assegnato il bene di via Digione all’associazione culturale “Musicaviva”.

Il bene è stato inaugurato il 23 maggio 2011, in concomitanza con l’anniversario della strage di Capaci in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.